Per cercare di comprendere l’attuale situazione del Burundi bisogna andare alla fine del quindicesimo secolo periodo in cui, secondo tradizioni orali e prove archeologiche assistiamo a un graduale stabilirsi di agricoltori Bantu provenienti dall’est del Mali e dalla repubblica centrale africana sul territorio che prima era abitato solo da Twa (Batwa in kirundi), popolo pigmeo autoctono della regione dei grandi laghi.

All’arrivo dei colonizzatori tedeschi il Burundi era un complesso regno tenuto insieme dalla lealtà verso il re, dall’esteso sistema governativo ed amministrativo che era stato sviluppato nel tempo e dall’elaborato sistema patronale che legava una all’altra persone di differenti strati sociali inoltre gli abitanti condividevano la stessa religione, la lingua e l’identità etnico-politica. Una minoranza di nobili-ufficiali proprietari di feudi e di bestiame costituivano la classe dominante, chiamata Tutsi mentre la maggior parte della popolazione, chiamata Hutu, era occupata nei lavori agricoli. La denominazione Hutu, Tutsi e Twa era data a seconda della linea di ascendenza e dell’occupazione. All’interno degli stessi gruppi c’erano ulteriori differenziazioni relative allo stato di benessere e alla posizione socio-politica. L’appartenenza alle classi non era rigida e non era determinata dalla nascita, erano presenti matrimoni interclasse, la distinzione Hutu e Tutsi aveva solo significato politico.
In linea con il concetto di darwinismo sociale di fine ‘800 i tedeschi videro nella struttura delle caste del Burundi il riflesso di un passato nel quale i Tutsi erano discendenti di genti più evolute (nella fattispecie berberi, culturalmente più vicini alla cultura cattolica) e quindi destinati a dominare (e da qui l’origine della teoria per cui i Tutsi siano di origine camitica e non bantu come gli Hutu, teoria oggi unanimemente ritenuta falsa,sia sulla base di studi genetici che non riscontrano differenze significative fra Hutu e Tutsi, che per mancanza di riscontri antropologici e storici di una differente origine). Vennero ristrutturate le caste secondo un concetto di appartenenza razziale usando questa stessa giustificazione per i privilegi economici e sociali di cui i Tutsi godettero durante l’occupazione tedesca.

Nei 1912 i belgi presero il posto dei tedeschi nel dominio del Burundi, mantenendone le politiche e rafforzando i privilegi dei Tutsi, fornendo differente possibilità di accesso alla cultura, creando una classe di Tutsi istruiti, secondo un istruzione occidentale, per governare sui non istruiti contadini Hutu ai quali venne spesso negato l’accesso alla cultura, spesso venivano sfruttati come manodopera gratuita, soggetti a espropri o a tasse sulla terra ecc.

Nel 1933 la distinzione tra Hutu e Tutsi venne resa ufficiale e portatrice di valore legale con l’introduzione di carte di identità etniche.

Dopo la seconda guerra mondiale cominciò ad affluire dal Belgio una nuova classe di missionari e amministratori più aperti al concetto di egualitarismo e la politica sociale cambiò, sostenendo l’accesso all’istruzione della classe contadina.
Dal 1959 i belgi passarono il potere ad un’assemblea nazionale indirettamente eletta. Il modello che venne importato fu quello belga: suffragio universale, elezioni basate sulla competizione partitica e giustificazione della politica all’elettorato. Venne formata una guardia territoriale, base dell’esercito nazionale, reclutata tra Hutu e Tutsi. Le elezioni vennero riformate, per permettere il voto segreto degli elettori, ciò consentì la crescita del partito Hutu. I Tutsi percepirono l’insieme di queste iniziative come un attacco al loro dominio, il senso di insicurezza trovava sostegno nei massacri di Tutsi che stavano avvenendo in Rwanda.

Nel 1962 il Burundi ottenne l’indipendenza dal Belgio come monarchia. Il re, Mwambutsa IV, esercitava il suo potere in un paese diviso da contrasti etnici e il suo tentavo di bilanciare la partecipazione di Hutu e Tutsi nei governi da lui formati creò numerosi problemi instillando paure tra i Tutsi e aspettative abnormi tra gli Hutu. Il risultato fu quello di diffondere violenza all’interno del paese e allontanare dalla monarchia tutti gli attori politici coinvolti. I Tutsi consolidarono il loro potere all’interno di tutti i posti chiave della società.
La nomina di un primo ministro Hutu, assassinato tre giorni dopo aumentò l’instabilità del paese spingendo il re ad indire nuove elezioni, nonostante la vittoria Hutu il re nomina un primo ministro Tutsi dando il via a un massacro etnico che sarà il primo di una lunga serie. Nel novembre 1966 l’ultimo re del Burundi viene deposto e il paese diventa una repubblica presidenziale sotto totale controllo Tutsi. Seguirono numerose purghe Hutu e numerosi scontri etnici e colpi di stato.

Nel 1987 abbiamo al potere Pierre Buyoya che cerca di ottenere consensi Hutu incorporandoli nell’apparato burocratico e rilasciando i prigionieri politici ma finì per scontentare sia gli Hutu, che vedevano come insufficienti gli sforzi fatti, sia i Tutsi che sentirono minacciato il loro potere. Le conseguenze furono altre rivolte, altre repressioni, altri scontri.
Tra conflitti e colpi di stato negli anni ’90 il Burundi è un paese vicino al tracollo: vittima di sanzioni internazionali, con un suolo sovrasfruttato per la forte crescita demografica, il sistema sanitario, educativo ed economico distrutti a causa delle guerre. Per questi motivi nel 1998, sotto il coordinamento del presidente tanzaniano Nyerere prima e sotto quella di Mandela poi, iniziano i trattati di pace che portano ad un accordo con 13 delle 19 parti coinvolte nell’agosto del 2000, in questo periodo tuttavia non mancarono gli scontri.
Nel 2002 viene firmato un cessate il fuoco con i gruppi ribelli più piccoli, i due gruppi maggiori (FLN e CNDD-FDD) rimangono contrari.
L’8 ottobre 2003 venne raggiunto un cessate il fuoco con il CNDD-FDD.
Nel 2006 inizia un processo di mediazione con l’ultima frangia ribelle (FNL) sotto la guida sudafricana.
Il 24 maggio 2010 vengono indette le elezioni comunali, prime tra una serie di elezioni programmate per il 2010; tra cui quelle presidenziali il 29 giugno, vinte, fra le denuncie di brogli ma regolari secondo gli osservatori internazionali, dall’ unico candidato, il presidente uscente Pierre Nkurunziza.